Il cavalcavia di Silvia Massotti
“Roma straripa da ogni mappa. Non è possibile contenerla. E’ così grande, colorata e disordinata che non sta da nessuna parte. E così l’hanno sistemata sotto il cavalcavia”
Nelle foto di Silvia le linee del cavalcavia, astrazioni del pieno, sottolineano il vuoto.
Marcano lo spazio dell’intervallo aperto tra il testo cittadino, infinito, fatto di case, vie, traffico, storie personali, traiettorie collettive ed individuali.
Silvia ci racconta come il cavalcavia cerca di contrarre lo spazio ( e di renderlo da tortuoso a lineare) e l’ampiezza delle distanza per poter contrarre il tempo: andare più veloci per fare più strada in meno tempo.
Ma il tempo è esperienza.
In fondo la nostra vita è giudicare la differenza di valore delle singole impressioni che diventano poi esperienza. Il tempo a disposizione per questi giudizi varia di molto: il tempo necessario per capire che il semaforo è diventato verde ( la macchina che ci segue nella fila lo capisce sempre prima di noi) o il tempo necessario per maturare una scelta di vita.
Così le foto ci narrano di uno scontro dialettico tra due visioni della città.
Da una parte, nel nostro immaginario c’è l’epopea, potente e rettilinea, delle sopraelevate americane, delle High Line, della visione pastorale di Manhattan, delle autostrade come la 61.
La volontà di unificare e rendere razionale il panorama nel nome dell’accelerazione e nel suono del motore.
Da lassù i panorami vengono colti nella loro interezza, con le gigantesche ancore dello sguardo: Empire State, lo skyline della Chicago Renaissance…
Dall’altra parte c’è il lento girovagare nel quaggiù, ondivago, contorto, indeciso tra le strade dei nomi, penetrando nel quartiere, cercando il negozio di cui non si ricorda il nome ma che vende i telefoni della doccia a meno. Sampietrini, buche, strisce pedonali bagnate, rotaie di tram e ruote piccole, piccola spesa, pacchetti, odore di pasta e fagioli, di spezzatino in bianco con il vino, la portiera del 29 che ha le corna, ghirigori mentali, flânerie e motorini, passi soprappensiero, conoscenza iniziatica dei luoghi fatta chiedendo informazioni all’edicolante e rivelandosi come straniero, semaforo rosso, contromano sul marciapiede, sguardo leggero e rapporto profondo, bildungsroman con acciughe e capperi, qualsiasi sia la domanda la risposta è: ”dipende”.

Ma non è il tessuto urbano ad essere labirintico: è il cavalcavia. Perché le foto di Silvia alludono sempre a ciò che dalle foto rimane fuori: un altrove urbano, un altro testo, un’altra “parola”, non presentabile o rappresentabile in quanto avanzo o differenza.
C’è una dialettica circolare tra il testo di Silvia e il testo lasciato fuori: una dialettica che le foto lasciano intuire anzi annunciano esplicitando il carattere labirintico del cavalcavia, la sua in-scrizione sospesa in un tessuto narrativo non-sospeso, il sorreggere dei piloni e la non abitabilità. Come il labirinto, il cavalcavia è l’opposto dello stare, ci si può solo andare, ci si può solo muovere. Non c’è passato, non c’è futuro: il percorso va da un angolo all’ angolo successivo. L’esperienza e la memoria non servono: nel labirinto non si possono fare previsioni, nel labirinto il transitare non segna il passaggio da una condizione umana all’altra ma è un transitare per sé stesso, allo stato puro, dove non si può fare salotto, non si può ospitare, non si possono crescere i figli. Il cavalcavia è lo spazio privo di affetti, di desiderio, di istintualità, di irrazionalità: è il luogo altro per eccellenza, il nonluogo, l’eterotopia.

Il testo di Silvia Massotti è inserito nel testo di Massimo Casavola, Amici del Mostro.
Massimo vuole fermare il flusso del traffico e fare del cavalcavia un luogo dell’abitare, dove aprire l’intervallo di tempo dove ospitare le idee ed i sogni, dove far giocare il futuro, dove scambiare le favole e i discorsi.
Il lavoro di Silvia, il lavoro di Massimo, tutti I lavori raccolti nel sito, creano una realtà propria, un'utopia, che contiene molte realtà possibili, “oggettivamente” più reali della attuale forma del cavalcavia che non contiene immaginazione, desiderio, progetto, possibilità di crescita interiore…
Con il loro lavoro Silvia, Massimo e tutti gli amici del mostro concedono alla realtà data il potere di rappresentare la realtà generale, tutte le realtà possibili e, muovendo ancora un piccolo passo, la realtà delle relazioni sociali. La linea del cavalcavia rivelerà uno degli infiniti, possibili, transitori clinamen dove far rotolare il caso. Al rumore del motore si sostituirà il grido del caso, il grido del volo degli uccelli, le grida sapienti dei bambini che giocano.
Qui tradiremo Roma, le sue campane intense nell’aria tersa, facendo volare gli aquiloni e gli aereoplanini di carta, montando telescopi per guardare la luna e le stelle, restituendo il tempo creduto perduto di ogni attesa o di ogni appuntamento mancato, riportando i denti di leone e la pimpinella a crescere nelle future crepe dell’asfalto, facendo venire passeri e rondini a nidificare negli angoli riparati dei piloni d’acciaio, invitando i gatti a stiracchiarsi sdraiati sul metallo caldo di sole.
Allora, forse, il cavalcavia sarà romano.

Luigi Ciorciolini

Roma, 23 Luglio 2005